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I catasti di Cortino

 

Catasti di CortinoI catasti digitalizzati si compongono di n. 4 volumi datati dal 1741 al 1796 e relativi a diverse comunità che costituivano l'Università (Comune) di Roseto.

I catasti onciari, realizzati con l’obiettivo di riformare il sistema di tassazione della proprietà e dell’industria, costituiscono una fra le più importanti fonti per lo studio della storia economica e sociale dell’Italia Meridionale. Offrono molteplici potenzialità di ricerca in diversi ambiti di studio, permettono la ricostruzione della storia delle comunità, delle famiglie, dei loro beni, dei luoghi in cui esse hanno vissuto.

I volumi digitalizzati

Volume n. 1 del 1741 è relativo alla Università di Servillo

Volume n. 2 del 1752 è relativo alla Università di Piano Fiumato

Volume n. 3 del 1781 è relativo alla Villa di Caiano 

Volume n. 4 del 1796  è relativo all'Università di Padula

 

Cenni storici sul catasto 

Con Real Dispaccio «De Catastis» del 4 ottobre 1740, Carlo III di Borbone impose  a tutte le università del Regno di Napoli la formazione di un nuovo catasto chiamato «Onciario» che fu regolamentato dalla Camera Sommaria con apposite disposizioni tra il 1741 e il 1742 trasmesse alle università del regno tramite le autorità provinciali.
L’introduzione del catasto onciario costituì un importante tentativo di razionalizzazione del sistema impositivo e «fu il primo serio tentativo di riforma globale intrapreso dalla monarchia borbonica». L’imposizione catastale, infatti, già vigeva in molte università, regolata dalla prammatica unica de appretio di Ferdinando I d’Aragona, del 19 novembre 1467; in molte altre, però, il fondamentale strumento di imposizione tributaria era costituito dalle gabelle, imposte indirette gravanti sui prodotti alimentari. L’intento di Carlo di Borbone fu, appunto, quello di obbligare tutte le università a dotarsi del catasto come mezzo per la ripartizione dell’onere contributivo.

Il termine «onciario» deriva dall’unità monetaria di riferimento che fu stabilito essere l’oncia, rappresentante, nel sistema monetario dell’antica Roma, la dodicesima parte della libra o asse. Il termine venne mantenuto nel Regno di Napoli ad indicare un’unità di conto corrispondente a sei ducati.
Il primo atto emanato dai comuni fu quello di procedere alla elezione di deputati ed estimatori o apprezzatori, esperti agrimensori, cui fu assegnato il compito di redigere gli atti preliminari e di determinare la valutazione dei beni attraverso l’apprezzo.
Tutti i cittadini di un centro abitato, ai fini della determinazione della base imponibile, dovevano redigere una rivela che consisteva in una autocertificazione con la quale venivano rese le informazioni sui componenti del nucleo familiare, con la relativa professione esercitata, sulla rendita dei beni patrimoniali e sulle spese su di essi gravanti.

Conclusa la compilazione dell’apprezzo, si passava alla discussione in pubblico Parlamento, durante la quale i cittadini potevano intervenire ed eventualmente contestare le valutazioni effettuate dagli apprezzatori.
Oltre all’apprezzo, il catasto onciario comprendeva lo stato delle anime costituito dagli elenchi delle singole famiglie forniti dai parroci.
Le operazioni si concludevano con la redazione definitiva del catasto onciario in due originali: uno veniva inviato, con la documentazione prodotta durante le fasi di elaborazione (rivele ed apprezzi), presso l’archivio della Regia Camera della Sommaria a Napoli, l’altro rimaneva depositato presso l’università.
La moneta in vigore all’epoca nel Regno di Napoli era il ducato che era formato da 5 tarì, da 10 carlini e da 100 grani o grana. Il grano era a sua volta formato da 12 cavalli e 6 cavalli costituivano un tornese.
L’oncia aveva un valore puramente nominale e corrispondeva a 6 ducati. 

(1) da Tossicia tra storia e mistero di Igino Addari

Ultimo aggiornamento: 26/01/2022

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